La Panzanella: etimologia e un po’ di chiacchere
L’etimologia delle
parole, a volte, è illuminante anche per i contenuti e la storia
dell’oggetto a cui la parola si riferisce e quindi, conoscere come
si è formata spesso serve anche a capire forma, storia e contenuti.
Per quanto riguarda la parola “panzanella” la ricerca etimologica
diventa poi davvero affascinante, perché nei risultati non c’è
niente di sicuro, ma ci sono solo tante ipotesi, tante possibilità,
alcune anche curiose, che ci piace, di seguito, scorrere in un
esercizio filologico, certamente un po’ da dilettanti, ma
ugualmente interessante. E allora vediamo: “panzanella” .... Dopo
averne mangiata con appetito una certa quantità la prima cosa che ci
può venire in mente, ancor prima di leggere alcunché, è proprio la
parola panza, magari solo perché ce la sentiamo tirare. Infatti la
panzanella riempie, toglie la fame e da un senso di pienezza, anche
se poi, data la leggerezza dei suoi ingredienti, presto il piccolo
fastidio scompare. E allora c’è chi ha ipotizzato che il nome
derivi proprio da panza e che panzanella altro non sia che
l’inversione della locuzione: “nella panza”; del resto non
sarebbe l’unica parola, nell’ambito del cibo,che deriva da panza;
c’è per esempio anche, panzarotto, che ha questa etimologia a
causa della sua forma rigonfia. Ma si potrebbe anche pensare a
panzanella come parola composta da due parole diverse: “pane e
zanella” e qui si aprono diverse possibilità: per il pane c’è
da dire poco, ma per la zanella invece c’è da dire molto, perché
zanella altro non è che il diminutivo di zana.
Questa parola in italiano
può avere vari significati tutti riferiti a qualche cosa di incavato
al centro e quindi adatto “a contenere” (da zana per es. viene
zaino): può significare cesta di vimini leggermente ovale, oppure
può essere la parola arcaica per indicare la culla. Per estensione
la zanella può essere, riferito al nostro scopo, un cestino di
vimini dove si faceva scolare e asciugar il pane bagnato, oppure una
scodella profonda, una zuppiera, o meglio un piccolo conchino di
coccio, dove si condiva la nostra panzanella e a questo punto ci si
potrebbe anche accontentare; ma invece, siccome zana significa, come
abbiamo visto, anche culla e le antiche culle dei contadini erano in
genere fatte con due tavole di legno poste a “V” collegate a due
testate sempre di legno ma con la base di appoggio semicircolare per
permettere il movimento ondulatorio della culla; le due tavole a “V”
erano destinate a contenere l’imbottitura per il neonato; poi per
estensione e proprio per la particolare forma incavata di questa
culla rustica con sezione a “V”, la zanella ha preso anche il
significato di piccolo fossato per lo sgrondo delle acque; del resto
in italiano il sinonimo del toscano zanella è cunetta e anche
questo, altro non è che il diminutivo – vezzeggiativo di cuna
,che, guarda caso, in italiano significa ancora culla. Per ritornare
alla nostra panzanella però bisogna sapere, che i contadini
mangiavano questa pietanza estiva spesso direttamente nei campi nelle
pause del lavoro, seduti, per comodità, proprio sul bordo della
fossa che contornava il campo e quindi a questa pietanza davvero si
poteva dare il nome di pane mangiato sulla zanella; neanche di questa
soluzione possiamo essere sicuri; il fatto è che, finché non si
trovi una prova certa, ma sarà difficile, tutte le ipotesi possono
funzionare. Ma di ipotesi ce ne sono altre e anche di più
complicate: c’è quella, per esempio, che vorrebbe, che la parola
“panzanella” altro non fosse che l’inversione della parola
“zampanella”; la zampanella, conosciuta in Emilia anche come
borlengo, è ancora una specie di focaccetta molto sottile e molto
croccante che si mangia ripiegata in quattro ed è presente in
Toscana, nell’area dell’Appennino (Porretta). In antico il nome
si sarebbe attribuito anche a focacce e ciambelle più consistenti,
che una volta indurite, per poterle mangiare, si dovevano bagnare. In
tutto questo si potrebbe trovare anche una giustificazione
trasversale all’ipotesi, che alcuni sostengono, che la panzanella
sia nata a bordo delle navi di piccolo cabotaggio, (l’etimologia ci
porta dai monti al mare) dove il pane, ma più spesso le gallette, le
ciambelle, biscottate, perché si mantenessero più a lungo, venivano
bagnate con l’acqua di mare e poi condite con i pomodori e le
verdure che i marinai portavano a bordo.
Fatto sta, ad onor del
vero, che nelle aree marginali della Toscana per panzanella e/o
panzanelle (plurale) si intendono cose spesso anche molto diverse. In
alta Versilia, per esempio, per panzanelle si intendono pezzetti di
pasta di pane fritti. In altri luoghi ai confini con il Lazio per
panzanella si intende una focaccia o una fetta di pane a volte anche
arrostita, condita però con olio e con gli stessi ingredienti della
nostra panzanella classica. E quindi, ai fini dell’etimologia, c’è
anche questo problema oggettivo: che in italiano la parola ha davvero
altri significati e indica spesso anche oggetti diversi, anche se,
per i Toscani doc, quelli, diciamo, del granducato di Cosimo, non ci
sono dubbi: per panzanella si intende una cosa sola.
Ma se invece di essere
per forza una voce composta fosse un’unica parola e non fosse altro
che il diminutivo – vezzeggiativo di “panzana”? È un’ipotesi,
ma forse non del tutto peregrina. Se si consulta il vocabolario, il
significato di panzana è quello di fandonia, frottola e se si
consulta un dizionario etimologico si trova che panzana potrebbe
derivare (c’è scritto proprio così al condizionale e quindi
nessuno ne può aver certezza) da “panicciana” e sta per “cosa
molle, inconsistente”, mentre in un altro vocabolario etimologico
c’è scritto che “verosimilmente deriva da Pantiana = Paltiana
che deriva da Pultem polenta” In entrambi i casi per spiegare il
significato della parola si fanno dei paragoni spiegando che la
fandonia e quindi la panzana ha la stessa scarsa consistenza di un
impasto di farina e acqua, oppure di una massa sbriciolata di pane
umido. Del resto anche la radice fonetica della parola pantano, che
parimenti fa riferimento a materia inconsistente, è la stessa. Alla
fine della fiera non sappiamo cosa pensare dell’etimologia della
parola, ma forse quest’ultima che fa riferimento alla consistenza
della materia, sul piano linguistico, appare forse la più plausibile
anche perché utilizzando il vezzeggiativo della parola si è voluto
aggiungere un po’ di allegria al piatto e alla voglia di mangiarla.
Ma anche le altre
ipotesi, ancorché forse meno probabili, rimangono interessanti e
anche tutte plausibili. In effetti questo piatto veniva sempre
confezionato utilizzando quei catini di coccio smaltati all’interno
di colore verde, non adatti al fuoco e quindi da adoperare, oltre che
per altri usi solo per preparazioni fredde. A noi piace molto anche
la possibilità che il nome sia nato dall’abitudine che avevano i
contadini di mangiare seduti sul ciglio della fossa. La fossa sul
bordo del campo era un “soggiorno naturale”, perché la fossa si
trovava in genere tra due prode. Questi spazi perimetrali al campo
non potevano essere arati perché altrimenti sarebbe scomparsa la
fossa che invece serviva per lo sgrondo delle acque e allora
rimanevano terreni sodi; sodi nel senso che non venivano arati, ma
ugualmente venivano coltivati. La terra che aveva a disposizione, il
contadino la coltivava tutta. Sul bordo del campo allora si
piantavano le viti e ogni campo, in genere era circondato da un
filare di viti. Le viti erano sorrette da alcuni alberi di medio
fusto che i contadinichiamavano “pioppi” o “chioppi”, ma che
non erano affatto pioppi, ma invece aceri campestri (acero oppio).
Siccome i campi erano uno accanto all’altro, la divisione tra due
campi era
indicata fisicamente da
due filari di viti con una fossa nel mezzo, le famose “prode”.
All’ombra dei pioppi e delle viti, seduti sul ciglio erboso della
fossa (zanella), che d’estate era asciutta, le famiglie dei
contadini si riunivano e lì, in un ambiente fresco e bucolico, da
far invidia all’Arcadia, mangiavano quel pane “‘nzuppo” che
ci piace pensare, che abbia preso il suo nome proprio da questi
sereni momenti di semplice convivialità campestre. ma la panzanella
continua ...
(Fonte LabArtArc)
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